Visioni in TV

Lungometraggio d’esordio datato 2023 della  milanese Ambra Principato,diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia e un passato di regista pubblicitaria,”Hai mai avuto paura?” è un horror-mistery ambientato nel 1813 in un borgo italiano.All’interno di una famiglia nobiliare del luogo un padre convinto illuminista,una madre esageratamente religiosa,due fratelli,Giacomo intellettuale convinto e il più piccolo Orazio,un grande curioso su quello che sta succedendo attorno.Da qualche tempo nella zona una sorta di grosso animale,soprannominato la Bestia,compie feroci aggressioni aventi come obiettivo animali ma anche esseri umani,mentre un vecchio cacciatore si mette sulle sue tracce escludendo che si tratti di predatori conosciuti,parlano i rilievi effettuati sui resti dei poveri malcapitati.Il piccolo Orazio inizia a sospettare che il fratello Giacomo,adolescente inquieto e misterioso,abbia qualcosa a che fare con le suddette atrocità e inizia a indagare cogliendo all’interno della famiglia alcune anomalie,tra le altre un quadro di avi che appare e scompare,che lo faranno precipitare in un clima sempre più sospettoso che il male si trovi all’interno del nucleo familiare stesso.Il film funziona,risulta ben girato,offre i giusti spunti di tensione senza strafare con effetti particolarmente efferati.Si spazia dalla dimensione puramente horror a quella fantastica che rimanda alla leggenda sui licantropi,passando anche per quella psicologico-letteraria con il fratello Giacomo innamorato di Silvia,una ragazza del villaggio,ricordando il fascino di Leopardi per la luna piena raccontato nel romanzo di Michele Mari “Io viena pien d’angoscia a rimirarti”.Un film da vedere questo “Hai mai avuto paura?” e se la lentezza della prima parte,doverosa preparazione a quello che accadrà,pesa forse un po’ ci pensa l’ultima mezzora a rimettere tutto a posto e vi assicuro che il colpo di scena finale davvero scioccante mette i brividi e il sottoscritto lo conferma,valendo da solo la visione del film. (12/2/2024) ****

“Le Otto Montagne” è un film del 2022 scritto e diretto dai belgi Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch,per lui una nomination all’Oscar 2014 per “Alabama Monroe” ,lei attrice al suo primo film da regista.Il film vince il Premio della Giuria al Festival di Cannes nel 2022 e ben quattro David di Donatello tra cui miglior film e miglior sceneggiatura.Meglio di così non si può chiedere,se poi si aggiunge anche un ottimo incasso,circa sei milioni di euro,il quadro complessivo è positivo in tutto e per tutto.Eppure osservandolo attentamente,riflettendo sul soggetto e pur apprezzando l’intensa intepretazione dei due attori principali,Alessandro Borghi e Luca Marinelli davvero bravi,qualcosa stona.Potrebbe essere il male che soffrono alcuni film che derivano da opere letterarie,in questo caso l’omonimo romanzo di Paolo Cognetti del 2017,il fatto cioé che determinati soggetti rendono molto di più in lettura che al cinema,questo perché quando leggi molto è affidato all’immaginazione e/o alla fantasia,si viaggia in proprio con i protagonisti e non ci si preoccupa più di tanto se la storia può risultare alla fine meno credibile del solito,al contrario di quando una serie di situazioni le vedi su uno schermo,allora la realtà deve essere molto più accentuata,più vicino alla logica.Si racconta la vicenda di Bruno,un bambino originario di un villaggio ormai spopolato della montagna della Valle d’Aosta,e di Pietro,proveniente invece da una famiglia benestante torinese che usualmente d’estate affittava una casa per le vacanze in quella zona permettendo il nascere di quell’amicizia.Col passare del tempo Pietro a causa di contrasti col padre,un ottimo Filippo Timi,si allontanerà bruscamente dalla sua famiglia per molti anni ma la prima anomalia appare il conseguente attaccamento dei suoi per l’amico Bruno nel frattempo preso a cuore dai due genitori in una sorte di simil adozione e quando il padre morirà i due si ritroveranno per una promessa dello stesso strappata allo stesso Bruno che prevedeva la ristrutturazione di una casa diroccata proprio su quei monti e che verrà esaudita da entrambi.La loro amicizia subirà momenti alterni,Bruno assieme all’ex ragazza di Pietro,nel frattempo di nuovo in cerca di se stesso in fuga stavolta nel Nepal,metterà in piedi un’impresa agricola destinata a durare poco,non capace di ripagare i debiti e strozzata dalla rigidità caratteriale del montanino,finendo infine la sua esistenza su quella montagna che a detta di lui “non gli ha mai fatto male”,seconda evidente anomalia.Se si esclude l’interessante concezione nepalese delle “otto montagne”,manifesto di quello che si può definire “una vera amicizia”,i bellissimi paesaggi sicuramente motivo trainante di tutta la visione,del film non rimane molto,il suo svolgimento,come accennato,talvolta non risulta molto attendibile.Comunque,al di la di tutte le osservazioni,”Le Otto Montagne” resta un bello spettacolo,onestamente non so se meritevole di tutti quei premi,che si può vedere con piacere,mettendo in conto anche la sua eccessiva durata,in genere nei film non sempre necessaria. (5/10/2023) ***

“Una Doppia Verità-The Whole Truth” è un film del 2016 diretto dal regista statunitense Courtney Hunt che ha al suo attivo solo un altro lungometraggio,”The Frozen River-Fiume di Ghiaccio”,un dramma con venature noir,di otto anni precedenti e per il quale ha vinto numerosi premi.Il nuovo soggetto,un thriller a sfondo processuale che resta un classico del cinema americano,è interpretato da un convincente Keanu Reeves e da una bravissima Renée Zellweger.Inizia da un avvenuto omicidio,quello del ricco avvocato Boone,commesso a una prima analisi dal figlio.Il riccone non è uno stinco di santo,vesseggia la famiglia continuamente,risulta agli atti violento nei modi e nei fatti con la moglie e con lo stesso figlio e per questo il collega e amico della famiglia Ramsay-Reeves accetta di prendere le difese del giovane che però non spiccica una parola dal fatto di sangue,complicando non poco il procedimento difensivo in corso.Durante il processo che scorre nella quotidianità delle varie testimonianze e dei vari accertamenti,tutti all’unisono elementi accusatori contro il giovane,sorgono dei dubbi nell’assistente di Ramsay,una bellissima e brava Gugo Mbatha-Raw,facendo uscire piano piano una verità che non assomiglia neanche in minima parte a quella iniziale,con un colpo di scena finale,similmente visto in altre opere del genere,che coglie nel segno per effetto e per credibilità.Se non un capolavoro resta un buon film “Una Doppia Verità” e come è dichiarato nel titolo prepara lo spettatore a non farsi influenzare da una tendenza di fondo,fin troppo chiara,che spingerebbe chiunque a sposare un’ipotesi iniziale che invece non si rivela per nulla esatta.Da vedere. (6/7/2023) ***

Il regista spagnolo Jaume Balaguerò,esponente del genere horror fin dal suo esordio,dirige nel 2005 “Fragile – A Ghost story”,il suo terzo lungometraggio,dopo gli ottimi “Nameless” e “Darkness”.Un vecchio ospedale pediatrico situato nell’isola di Wight,in Inghilterra,prossimo alla chiusura ma non ancora completamente evaquato,il luogo dove si svolge l’agghiacciante vicenda.La location già inquietante di suo a partire dall’aspetto e dall’essere pressochè isolata,sembra incorpori una sorta di maledizione riguardo al suo passato che la nuova infermiera appena assunta,in sostituzione di una sua collega morta misteriosamente,la brava statunitense Calista Flockhart,dovrà cercare prima di capire poi di risolvere o almeno di limitare i danni,in questi film uscirne tutti indenni rimane del tutto impossibile,oltre tutto avendo a che fare con dei bambini il tutto risulta ancora più pauroso e inquietante.Per non spoilerare nulla si può affermare che la cosidetta “bambina meccanica” che ancora perseguita la struttura,apparendo a soggetti prossimi alla fine e probabilmente anche alla vecchia infermiera e che sembra in tutto e per tutto una vendetta contro il male che le è stato fatto durante il suo ricovero molti anni prima,funziona soprattutto nella prima parte del film quando ancora si cerca di afferrare l’arcano.Nella seconda parte tutto risulta sostanzialmente più di maniera,sebbene con colpi di scena riusciti,mentre piuttosto azzeccata risulta la soluzione finale che ribalta tutto quello che credevamo fino a quel momento.Un film comunque da vedere questo “Fragile”,in quanto uno dei migliori prodotti degli ultimi anni riguardo a storie che hanno come base quel canovaccio e quel tipo di svolgimento. (5/4/2023) ***

Diretto nel 1977 dal grandissimo Dino Risi,uno dei più importanti registi della commedia all’italiana,”La Stanza del Vescovo” è una delle punte recitative più alte dell’immenso Ugo Tognazzi.In questo lungometraggio sono bene in luce tutte le sue filosofie,la sua passione per le donne meglio se giovani e belle,la sua scaltrezza nel riuscire ad arrivare a un obiettivo,la cinica realizzazione di piani prefissati servendosi di persone terze utilizzate allo scopo.Così quando l’avvocato di mezza età Orimbelli  incontra sul lago Maggiore un trentenne rifugiato in Svizzera per scampare alla guerra,premesso la storia si svolge nel 1946,lo coinvolge in una macchinazione atta a eliminare la moglie Cleofe di cui è succube e pure a carico,non possedendo nulla,ospitandolo con una inaspettata e furbesca cortesia in villa,nella famosa stanza del titolo,dove un tempo dormiva un prelato prozio della moglie.Successivamente,per logica conseguenza,impossessarsi delle proprietà e della cospicua eredità,sposare la bella cognata Matilde,una Ornella Muti giovane e bella più che mai,rimasta sola a causa del marito disperso in Africa e prossimo a essere dichiarato morto.Divertente da seguire,coinvolgente nello svolgimento e emozionante nel finale dove alla fine la giustizia trionfa come è naturale che sia,aggiungendo anche una morale,i soldi e le proprietà non sono tutto nella vita,c’è anche una parte di dignità da difendere,l’essere liberi e non schiavi dei beni materali non ha prezzo.Consigliato a tutti gli amanti delle commedie all’italiana,”La Stanza del Vescovo” resta un film assolutamente da riscoprire e da rivedere. (23/1/2023) ****

Modi diversi sono possibili per rappresentare sullo schermo le disabilità e i drammi personali di quelle figure che per destino o per colpa,a seguito di incidenti o per la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato,si trovano nella sofferenza costrette a rivoluzionare la propria esistenza e riaffrontarla in una maniera completamente diversa.E si possono trovare differenze di svolgimento clamorose,se si prende ad esempio il dramma dell’Olocausto si può passare da un drammatico e veritiero “Schindler List” capolavoro di Spielberg a un più spensierato e poco credibile “La Vita è Bella” di Benigni e questi due esempi bastano e avanzano per rendersi conto che lo stesso argomento può comportare interpretazioni molto diverse.A distanza di pochi giorni ho visto sia il lungometraggio “Penguin Bloom” diretto nel 2020 dall’australiano Glendyn Ivin sia l’italiano “Corro da te” del regista Riccardo Milani uscito nel 2022.Ebbene dove nel primo si sperimenta e si tocca con mano il dolore di una donna,sposata a un fotografo e madre di due figli,una bravissima Naomi Watts,per il ritrovarsi paralizzata a seguito di una incredibile e sfortunata caduta,nel secondo uno scapolo farfallone e impenitente,il sempre fotogenico Pierfrancesco Favino,si finge in carrozzina per conquistare una donna,pure lei disabile,anche se questo non era esattamente il suo primario obiettivo.Come si vede la tematica si assomiglia ma in questi soggetti preferisco di gran lunga il drammatico alla commedia,la veridicità delle situazioni e magari non scherzarci neanche più di tanto.Certo pur passata una terribile fase di accettazione si può benissimo vivere una vita normale anche da disabili,resta comunque alla base un rivoluzionamento della propria esistenza,insomma intravedo più disagio e difficoltà che divertimento e spensieratezza.Pieno di alcuni buoni propositi lo è certamente anche il film di Milani ma “Penguin Bloom” resta un qualcosa di profondamente diverso che ti rimane dentro,soprattutto per lo svolgersi poetico della vicenda.Adattamento di una storia vera,il ritrovamento di un pulcino di gazza da parte della famiglia Bloom,ribattezzato Penguin,genera speranza e fiducia in questa donna,costretta a confrontarsi col suo drammatico episodio per tutta la vita,una circostanza quest’accudimento che cambia le carte in tavola ridandole la voglia di continuare a vivere.Filmone da vedere e rivedere,”Penguin Bloom” riesce perfettamente nell’intento di far entrare gli spettatori a pieno titolo nella storia,come si fosse parte della famiglia,facendo perfino commuovere in alcuni momenti.Molto consigliato. (24/9/2022) ****

Non un capolavoro ma certamente interessante questo “The Box”,diretto nel 2009 dallo statunitense Richard Kelly regista del capolavoro “Donnie Darko” datato 2001,lungometraggio di genere drammatico che sconfina nella fantascienza e nel thriller.Narra la vicenda di una coppia,spicca una sempre bellissima Cameron Diaz,che ritrovatasi per una serie di eventi negativi in difficoltà finanziarie improvvisamente riceve una visita da uno strano inquietante personaggio,un convincente Frank Langella.Egli porta con se una strana scatola con un bottone in evidenza che se premuto assicurerà ai due un milione di dollari,con la sola contropartita che una persona non di loro conoscenza morirà.La scelta da fare risulta pesante,soprattutto per la sua conseguenza,non sarà facile per la coppia decidere.Per non togliere la suspense a chi ancora non ha visto il film rimane doveroso fermarsi qui,anche perchè dopo la scelta iniziano a valanga tutta una serie di eventi che non lasciano il tempo di riprendere fiato,fatti sconcertanti ai limiti dell’immaginabile,esseri alieni dagli enormi poteri già presenti nel nostro mondo,con un risultato finale ben costruito e,con la dovuta maestria di Kelly,anche ben diretto.Il film prende spunto da un racconto di Richard Matheson “Button Button” del 1970,riproposto anche in un episodio della serie televisiva “Ai Confini della Realtà” nel 1985.Un film da vedere questo “The Box”,appassionante pur rimanendo ai limiti del reale e sviluppa una morale di fondo non originalissima ma efficace.Consigliato. (12/7/2022) ****

Dai fratelli D’Innocenzo,registi italiani tra i più promettenti dell’ultima generazione,ci si aspetta sempre qualcosa di diverso e fuori dall’ordinario che vada oltre i normali canoni del pianeta cinema e così dopo il brillante esordio del 2018 con il premiato “La terra dell’abbastanza” e la conferma di “Favolacce”,Orso d’Argento a Berlino nel 2020,era tanta l’attesa per la nuova opera “America Latina” targata 2021.Colpisce subito il titolo,un gioco di parole tra la parola America che richiama sogni,illusioni,speranze e Latina,il rovescio triste della medaglia,gli incubi,il caos,la dimensione reale e il nome della città dove la storia ha luogo.Dall’analisi di una situazione familiare di degrado delinquenziale del primo film si arriva nel secondo a osservare i comportamenti di alcune famiglie apparentemente felici ma che sotto sotto covano tutto il male possibile per poi,forse un passaggio obbligato,passare ad analizzare la mente umana,il suo eterno bisogno di crearsi un’esistenza tranquilla,comoda,agiata e priva di preoccupazioni,magari all’interno di una bella famiglia,ma che poi frana inesorabilmente nella sua falsa perfezione,nascondendo misfatti neanche lontanamente immaginabili.Così il protagonista,un bravissimo Elio Germano alla sua seconda prova con i registi romani,trascorre le sue giornate tra il proprio studio dentistico e la sua villa,accompagnato sempre dalla costante presenza della moglie e delle sue due giovani bellissime figlie.L’equilibrio si spezza quando per un banale motivo scendendo in cantina trova una ragazza legata e imbavagliata,manifesto evidente di una sequestrata,e non riesce a spiegarsi come sia finita in casa sua.Senza spoilerare più di tanto e senza anticipare il finale per chi ancora non l’ha visto,si può dire che l’intera operazione cinematografica sia riuscita soltanto a metà.Fin dall’inizio ci si rende conto che troppe cose non stanno in piedi nello svolgimento della vicenda,il tutto risulta troppo etereo e vago,esageratamente ai limiti del possibile,privandoci in parte del privilegio di rimanere scioccati al suo finale come era forse nelle intenzioni iniziali con le inevitabili sensazioni del “già visto” alla fine.Resta comunque bello il cinema dei fratelli D’Innocenzo,nella splendida fotografia,nei particolari sempre molto curati,nell’analisi dei rapporti umani,come in uno dei momenti più belli del film,il drammatico confronto del protagonista col padre-la sua vera e propria ossessione-ed è qui che si capisce il lato oscuro della sua vita,immaginando un epilogo con ben poche speranze.Un film nonostante tutto convincente “America Latina”,ma che forse necessitava di un diverso approccio per renderlo,più che maggiormente credibile,un po’ più misterioso e avvincente,molti altri lungometraggi hanno ampiamente sperimentato queste tematiche soprattutto nei finali,ormai non è più di tanto una novità.Attendiamo i registi romani a una nuova prova,col loro talento sono convinto ci stupiranno ancora e forse la prossima volta con migliori risultati. (25/5/2022) ***

Nella totalità dei film di fantascienza riguardante viaggi nell’universo i soggetti interessati tendono spesso a indirizzarsi verso un’unica direzione,quella di cercare altri mondi possibili,altri pianeti abitabili,arrivando con “Interstellar” a varcare il nostro sistema solare.In altri casi sono mossi verso una direzione precisa,”Ad Astra” verso Nettuno alla ricerca di problematiche da risolvere o verso Giove in “2001 Odissea nello Spazio” per capire il significato di un segnale da lì proveniente,oppure al cospetto di “Solaris”,nel film omonimo,per capirne il suo scopo.Il film del regista britannico Danny Boyle “Sunshine” del 2007 si muove in direzione opposta,guardando invece verso il nostro sole che da tempo dà segni di stanchezza,col rischio che prima o poi possa spegnersi,causando la fine della vita sul pianeta Terra.Girato poco prima del pluripremiato “The Millionare” e dopo il conosciutissimo “The Beach”,questo lungometraggio resta sottovalutato e poco conosciuto,pur avendo dietro un bel soggetto,una bellissima fotografia e ottimi effetti speciali.La possibilità di riattivare la nostra stella causando un’esplosione nucleare al suo interno viene attuata dal progetto di viaggio Icarus I di cui però si perdono le tracce.Sarà quindi la missione Icarus II a mettere in atto l’ultimo tentativo possibile,quando nei pressi di Mercurio arrivano segnali dalla precedente missione che sembra essere ancora in vita.Dal tentativo di raggiungerla per capire ciò che è successo si innescano colpi di scena a ripetizione che sarebbe davvero un peccato svelare a tutti coloro che magari non conoscono l’opera,ma credetemi il film vale davvero una visione,se non altro per assistere a un’avventura ai limiti della realtà,non solo rischiosa ma probabilmente con poche possibilità di successo,vista la difficoltà di avvicinarsi al Sole con le sue temperature impossibili da sopportare anche per le nostre attuali conoscenze.Consiglio questo “Sunshine”,girato benissimo,con un soggetto comunque attuale,il Sole un giorno potrebbe davvero affievolirsi,con attori convincenti,lo spettacolo credetemi resta garantito. (14/2/2022) ****

Nel pianeta dei film horror,personalmente visitato e osservato ormai da una vita,ne abbiamo viste di tutti i colori,case infestate,mostri,demoni in tutte le forme e sembianze possibili,esorcismi vari e via dicendo,ma questo “Relic”,lungometraggio australiano uscito nel 2020 e diretto da Natalie Erika James,è un qualcosa di diverso,un horror psicologico che lascia il segno,legato  a una delle malattie dell’anzianità più devastanti che ci possono essere,”l’alzheimer”,con la sua conosciuta progressività e le quasi nulle possibilità di guarigione.La vicenda,di per se piuttosto semplice,ruota attorno a un’anziana e solitaria signora che dalla sua casa isolata improvvisamente scompare senza lasciare tracce.Si attivano dunque la figlia,una bravissima Emily Mortimer,con la nipote e dopo una breve ricerca,al mattino dopo,la donna improvvisamente ricompare,un po’ spaesata ma apparentemente in salute,tranne che per un grande livido scuro sul petto che richiama il colore della muffa nera che entrando nella casa le due donne avevano notato.Tutto il film da questo momento in poi procede velocemente osservando la donna,rimanendo attento ai suoi comportamenti,a volte dolcissimi,a volte piuttosto violenti-la vicenda dell’anello con la nipote-,legata da tempo ai suoi bigliettini sparsi per tutta la casa,in un crescendo di situazioni e colpi di scena che in alcuni casi fanno davvero paura e inquietano nel profondo.Senza voler anticipare il drammatico finale,da gustarsi tutto d’un fiato,”Relic” è un film che funziona e assolutamente consigliato,se non altro perché di fronte a questo tipo di situazione,oltre ad averne timore,riconosciamo la nostra impotenza,in sostanza è come lottare contro un perfido demone,e solo l’amore,espresso benissimo nelle ultime scene,riesce a dare un senso alla vita che rimane,con l’amarezza nel capire che spesso e volentieri l’ereditarietà della malattia purtroppo continua la sua corsa,un percorso che in questo caso coinvolge tre generazioni di donne. (11/10/2021) ****

Il regista americano Noah Hawley,conosciuto più che altro come direttore di serie TV tra le quali anche “Fargo” dal famoso film dei fratelli Coen,realizza nel 2019 questo lungometraggio “Lucy in the Sky” con l’attrice Natalie Portman nel ruolo principale ispirato a una figura realmente vissuta,l’astronauta della NASA Lisa Nowack.Reduce da un viaggio spaziale particolarmente impegnativo,comunque andato a buon fine,la cara Lucy perde a poco a poco il contatto con la realtà,vede sgretolarsi il proprio matrimonio,cerca di valorizzarsi in qualche modo come donna iniziando una improbabile relazione con un suo collega che risulterà essere la goccia finale che traboccando dal vaso la condurrà a un inizio di follia non riconoscendo più il mondo che la circonda.Certo a vedere la nostra amata Terra da lassù,sentirsi importanti nel dominare l’universo,deve comunque fare il suo effetto e certamente il ritorno alle cose banali,pure sciocche,insomma alle faccende di tutti i giorni,può certamente pesare in qualunque individuo.L’errore di Lucy sta nel non accontentarsi,sentirsi la migliore e la più brava di tutti a prescindere,di reputarsi una predestinata a dover continuare quel percorso a tutti i costi non preoccupandosi più del mondo che le gira attorno,pur bellissimo e invidiato,come un bel marito e una bella figlia e nulla che in realtà le manca.Il secondo errore di Lucy è quello di voler stravincere,sentirsi la numero uno anche intimamente come donna iniziando,senza riflettere sulle conseguenze,una storia con un fantomatico collega playboy che non esiterà a scaricarla per una sua collega più giovane.Ma si sa che in questo mondo non si può avere tutto e se Lucy avesse scelto in tutta serenità cosa per lei nella vita fosse veramente importante probabilmente non avrebbe avuto nessun tipo di problema.Per riflettere su tutti questi temi,l’alienazione,la solitudine,la mania di protagonismo,la gelosia e l’invidia,l’umiltà e la saggezza latitante nei momenti cruciali,”Lucy in the Sky”-il titolo come omaggio alla song dei Beatles e scelta migliore non ci poteva essere-vale una visione e pur non essendo un capolavoro può essere molto apprezzato,oltre che per l’interpretazione vissuta e accorata della Portman,per guardarci un po’ dentro,per evitare di diventare nel nostro piccolo una figura simile a Lucy. (26/7/2021) ***

Una storia d’amore da finalizzare,una famiglia da costruire nella casa dei propri sogni,lo scorrere inevitabile della vita con le sue contraddizioni e le sue crudeltà,ma anche molto altro è rappresentato in questo lungometraggio,datato 2019 e presentato al Festival di Cannes nello stesso anno,del regista irlandese Lorcan Finnegan,già autore dei precedenti e poco conosciuti thriller “Foxes” del 2011 e “Without Name” del 2016.Così una coppia si reca in un’agenzia immobiliare in cerca di un futuro nido d’amore da acquistare e convinti dall’agente si recano in visita presso una nuova località residenziale dove sono presenti molte unità immobiliari,moderne,accattivanti,a misura d’uomo e una di queste,la numero 9-guarda caso il numero che identifica il sacrificio-,può benissimo fare al caso loro avendo tutto quello che si può desiderare da un’abitazione fino a quel momento solo sognata.L’agente scompare improvvisamente e per i due innamorati,non potendo uscire in alcun modo da quel labirinto di abitazioni tutte uguali e apparentemente disabitate,sarà l’inizio di un incubo rassegnandosi così a passarci la notte essendo rimasti pure senza benzina nel cercare invano la via d’uscita.Il giorno successivo l’arrivo di un pacco contenente un neonato da “crescere” se si vuole essere liberati,queste le istruzioni contenute nel messaggio accompagnatorio,amplia la storia che si trasforma in una vicenda che definire surreale è dir poco.Un film da vedere questo “Vivarium” e semmai anche rivedere per coglierne gli aspetti più cinici e controversi che in alcuni casi-ad esempio nel finale quando si osservano gli interni delle altre unità immobiliari fino a quel momento non visti-fanno davvero venire la pelle d’oca.In realtà riflettendo in maniera più serena e a mente fredda nel messaggio del regista viene rappresentata,certamente nella sua forma più estrema,la parte più importante della nostra vita,la formazione di una famiglia con la madre che ha come primo compito quello di crescere un figlio,il padre che lavora tutto il giorno-allucinante nel film il suo compito-,il tutto che poi col passare del tempo viene meno,col figlio ormai grande destinato a veder soccombere i propri genitori,solo che qui si va ben oltre l’immaginabile con la rappresentazione di un incubo che incuriosisce e allo stesso tempo spaventa sempre più ogni minuto che passa.Indovinati e bravi gli interpreti,il figlio si fa ricordare per la sua impassibile figura ma anche l’agente immobiliare che riappare alla fine ha un suo perchè.Semicapolavoro. (17/5/2021) ****

Il regista veneto Antonio Padovan,dedito in primis ai corti e alla pubblicità,esordisce nei lungometraggi nel 2017 con un giallo ambientato nella patria delle bollicine intitolato appunto “Finché c’è Prosecco c’è Speranza” e si fa subito notare con riconoscimenti vari e alcune candidature che lo mettono già in luce alla sua prima opera e direi con ragione perché il film pur non essendo certamente un capolavoro risulta godibilissimo con una giusta e misurata suspence e interpretato benissimo da un Giuseppe Battiston a suo agio nei panni di un novello ispettore chiamato  a sbrogliare il bandolo della matassa di una serie di omicidi piuttosto misteriosi.Di ben altro spessore il successivo “Il grande passo” del 2019,dove accanto a un soggetto originale e per niente scontato-autore lo stesso Padovan-il regista indovina una direzione brillante e piacevole,accorpando insieme lo stesso Battiston con l’attore Stefano Fresi nei panni di due fratelli caratterialmente molto diversi tra loro che di fatto non si sono mai conosciuti,abbandonati in età giovanile dal padre che ha scelto di vivere in un’altra realtà familiare.Costretti per una questione di coscienza a ritrovarsi insieme e passata la prima fase di studio reciproco con svariati scontri che li porteranno quasi a dividersi nuovamente,troveranno invece la maniera di interagire anche grazie al fratello Battiston e al suo sogno di costruire in proprio un’astronave per andare sulla luna,un progetto a cui ha dedicato tutta la sua esistenza e condiviso fino a che ha potuto col padre stesso.Quello che il fratello Fresi considera una follia e la testa malata di un uomo che sembrerebbe fuori dalla realtà e quindi bisognoso di cure,magari in un istituto appropriato,sarà invece ciò che lo riavvicinerà al suo simile,guardandoli insieme direi anche per estetica,sostenendolo nel suo sogno e risultando essenziale nel suo epilogo.Un bel film questo di Antonio Padovan,colmo di buone intenzioni,pieno di bei concetti ed è stata veramente una sorpresa vederlo e per questo consigliato vivamente,ricordando che tutti noi abbiamo sogni più o meno grandi e con la costanza di crederci sempre,lottando per arrivare a vederli esauditi,basterà un passo,al contrario di quello di Amstrong nel 1969,forse piccolo per l’umanità ma immensamente grande per tutti noi. (15/3/2021) ****

Da sempre amante del genere thriller,questo primo lungometraggio diretto nel 2019 da Milena Cocozza da oltre vent’anni aiuto regista soprattutto dei Manetti Bros e presentato nello stesso anno al “Torino Film Festival”,si è rivelato un piccolo gioiello,una vera e propria sorpresa considerato che i bei film di atmosfera non sono facili a realizzarsi e piuttosto difficili da far piacere soprattutto a un navigato come me.Un ottima Carolina Crescentini,con un passato nelle commedie ma che qui si rivela essere anche attrice di emozioni,riesce a entrare molto bene nella parte di una dottoressa che in dolce attesa,con la piccola bugia di non segnalarlo,riesce a ottenere un posto di lavoro notturno all’interno di un ospedale pediatrico che ha nel suo passato più di un segreto.Tra visioni notturne,suggestioni,incubi su una collega che le ha lasciato l’incarico perché suicida,la paura di una maternità che anche nella migliore delle ipotesi genera comunque inquietudine,colpe inconfessabili da parte della gestione ospedaliera che sa ma non dice,il film si sviluppa in maniera egregia mescolando in maniera intelligente diversi generi tra cui l’horror,il giallo,il soprannaturale,con risultati molto positivi facendo pure a meno di effetti ed effettacci tipici del genere,giocando invece sulla tensione del succede-non succede e del vedo-non vedo.Senza approfondire più di tanto e lasciando scoprire i misteri del luogo e della vicenda allo spettatore,rimane più che giusto affermare che “Letto Numero 6” vale senza dubbio una visione senza se e senza ma,riuscendo a incuriosire e a incollare allo schermo lo spettatore per tutta la durata del film,riservandosi pure alcuni colpi di scena davvero inattesi.Il merito principale va sicuramente alla sceneggiatura mai banale e un finale all’altezza,oltre alla presenza di attori credibili nelle loro interpretazioni e credetemi in film di questa natura già basta e avanza per ottenere un prodotto superiore alla media dei moltissimi simili in circolazione. (15/1/2021) ****

“Foxtrot-La danza del destino” è un film del 2017 diretto dall’israeliano Samuel Maoz,già regista di “Lebanon” che nel 2009 gli fruttò un “Leone d’Oro” a Venezia e anche quest’ultimo risulterà premiato sempre a Venezia con un “Leone d’Argento” nel 2017.Il suo trascorso giovanile è la storia di un soldato che a vent’anni è all’interno di uno dei primi carri armati che invadono il Libano nel 1982 e che sarà lo spunto per raccontarne la vicenda nel film omonimo.Un passato che comunque lo influenzerà profondamente anche in “Foxtrot” con un’osservazione piuttosto critica sulla vita militare che anche in tempo di pace crea a volte non pochi problemi.Venendo al film in oggetto,nel primo atto di tre,una coppia di coniugi si trova nella situazione di dover affrontare la terribile notizia che il loro figlio,in quel momento arruolato nell’esercito,risulta deceduto per cause non definite ma dopo un giorno di disperazione arriva la contronotizia che per un motivo di omonimia il loro figlio è vivo,quindi tutto risolto nel migliore dei modi.Ma come la danza del titolo,appunto il “Foxtrot”,che si basa su alcuni passi ben definiti per poi tornare al punto di partenza,il destino ci mette lo zampino e dopo aver seguito il figlio nel suo posto di guardia in un checkpoint-praticamente tutto il secondo atto-si arriva al capitolo finale dove si chiarisce una volta per tutte come è andata veramente la vicenda di questo ragazzo.Davvero un bel film questo “Foxtrot”,per riflettere non solo sul fato,talvolta invadente e indigesto,ma anche e soprattutto sull’assurdità e sulle stranezze della vita militare che ha sempre bisogno di un nemico da combattere,questo ben presente nella parte centrale della storia con un episodio cinico ma tremendamente logico nella sua indifferenza e cattiveria.Consigliato davvero. (11/11/2020) ****

Diretto da Veronika Franz e Severin Fiala,una coppia di registi austriaci che nella vita sono zia e nipote,questo lungometraggio uscito nel 2019 sviluppa ulteriormente il tema del loro notevole “Goodnight Mommy” del 2014,un horror ben riuscito vincitore anche di alcuni premi,tutto basato sulla tensione sviluppata attorno a una coppia di figli dopo il ritorno della madre reduce da un operazione al volto che con lo stesso interamente bendato,oltre ai suoi strani e inusuali comportamenti,incute sui ragazzi tutta una serie di sospetti e molta paura sulla possibilità che la stessa non sia effettivamente la donna che aspettavano.”The Lodge” ripropone in parte quel filo conduttore con due adolescenti,una location piuttosto isolata come nel precedente film e una donna che questa volta non è la madre ma la nuova compagna del padre che assentandosi qualche giorno per lavoro lascia i tre in solitaria con il preoccupante tema di fondo che la nuova arrivata non è per niente gradita ai figli,ancora troppo legati alla madre deceduta da poco tempo,e a conoscenza che la stessa,una ex allieva del genitore con un passato di problemi mentali,non ha un gran bel trascorso da proporre come esempio.Una bella tensione quella che si svilupperà nel casolare di montagna,durante quella che doveva essere la vacanza natalizia per mettere tutti d’amore e d’accordo,oltretutto anche isolato a causa della neve che metterà a dura prova i tre abitanti con colpi di scena rilevanti e un finale forse in parte scontato ma efficace.Tutto questo rende “The Lodge” se non un capolavoro un film da vedere almeno per gli amanti del genere. (18/8/2020) ***

Per i cento anni dalla nascita di Alberto Sordi,il 15 giugno 1920,abbiamo avuto occasione di vedere o rivedere gran parte dei suoi film,una filmografia che tra interpretazioni e regie copre un periodo che va dalla metà degli anni quaranta fino alla metà dei novanta ed è di questo periodo il film diretto da Ettore Scola nel 1995 “Romanzo di un giovane povero”,la sua penultima apparizione cinematografica seguita dalla sua ultima regia “Incontri proibiti” del 1998.Girato nello stesso palazzo di “Una giornata particolare” diretto sempre da Scola,il soggetto riflette la storia di un profondo disagio,quella di un giovane laureato in lettere ancora disoccupato-un ottimo Rolando Ravello all’inizio della sua carriera-stretto tra le spire di una madre apprensiva attenta ai giudizi degli altri e il suo stato di profonda insoddisfazione per la sua situazione che non gli permette di vivere una vita serena neppure con la propria fidanzata proprio per il suo sentirsi uomo inutile e fallito.Rimarrà coinvolto in un caso di cronaca nera ai limiti della follia,complice un suo vicino di casa,lo stesso Sordi che,stanco da tempo delle vessazioni sempre più violente della moglie,una ex-ballerina un tempo bellissima ma che col tempo lasciandosi andare diventata irriconoscibile,proporrà al giovane di ucciderla in cambio di una consistente cifra di denaro che la donna custodisce gelosamente in casa.Il punto di forza del film sono le interpretazioni dei due personaggi principali,quella del giovane laureato incapace inizialmente di reagire alla sua situazione e successivamente alle accuse che gli vengono mosse,accettando così passivamente il corso degli eventi che si svilupperanno quando la donna viene effettivamente trovata morta,opposta a quella davvero disturbante del marito che ce la mette davvero tutta per creare i presupposti affinché la sua consorte sparisca per sempre per poi rimpiangerla ricordandola com’era una volta.Bravissimo Ravello ma nel film è Sordi che sorprende,calandosi nella parte di un personaggio triste,spietato,bugiardo e disponibile a cambiare molte facce nel corso dell’inchiesta.Premiato a Venezia con la “Coppa Volpi” a Isabella Ferrari per l’interpretazione della fidanzata del laureato e con la “Grolla D’Oro” ad Alberto Sordi,”Romanzo di un giovane povero” resta un film da riscoprire e rivalutare anche solo al fine di riflettere e osservare fino a che punto un essere umano può spingersi per cavalcare un proprio interesse personale e dall’altra parte quanta debolezza e rassegnazione esiste in quelle figure così perdenti nei confronti della vita,situazioni spesso ricorrenti che prontamente vengono sfruttate da una gran parte della cattiveria umana. (14/7/2020) ****

Diretto nel 2019 dal britannico Steven Knight già regista di “Locke” e di “Redemption” entrambi del 2013,”Serenity” resta un film molto affascinante.Due ottimi attori nuovamente insieme sul set dopo il cult “Interstellar” di Christopher Nolan,Matthew McConaughey e Anne Hathaway che assistiti dai pur sempre bravi Diane Lane e Jason Clarke sviluppano un soggetto particolarmente originale che riesce a mescolare i tratti del giallo classico-una donna che chiede all’ex marito di uccidere il nuovo compagno e di liberare così sia lei sia il loro figlio dalla violenza di lui-con i contorni di una vicenda virtuale,una sorta di gioco di ruolo,che si svolge sul computer del figlio stesso e di cui fanno parte tutti i personaggi della storia ambientata in un isola immaginaria che sarà poi la chiave della bellissima sequenza finale.Film bello,misterioso,recitato in maniera convincente e credibile,riesce a tenere incollato allo schermo lo spettatore,perché nonostante si capisca che qualcosa di strano e di poco logico ruota attorno all’intera vicenda si è veramente costretti ad aspettare il finale quando tutti i tasselli ritorneranno magicamente al loro posto.Poco visto e poco valorizzato alla sua uscita resta davvero necessario riscoprirlo. (4/3/2020) ****

Una grande conferma questo film diretto nel 2017 dal regista greco Yorgos Lanthimos dopo il fantascientifico “The Lobster” del 2015 e prima del suo pluripremiato “La Favorita” del 2018.Basato su alcuni elementi del mito greco del sacrificio di “Ifigenia” il film risulta crudo,essenziale,cinico e a tratti spiazzante,un thriller psicologico dall’inizio lento e poco interessante ma che cresce via via che il quadro della vicenda si compone riuscendo nell’ultima mezzora a essere perfino disturbante.La vita scorre tranquilla per il chirurgo Steven,davvero bravo Colin Farrel,che vive in completa serenità con la moglie,bella e brava Nicole Kidman,e i due figli ma che in realtà risulta macchiata da un grave episodio del passato,un intervento finito con la morte del paziente in cui sembra abbia avuto delle responsabilità.Col passare del tempo la vicenda prende una brutta piega fino a esplodere in tutta la sua ferocia costringendolo a effettuare scelte estreme nell’attesa dell’inevitabile sacrificio finale.Girato con abbondante uso del grandangolo,i personaggi sembrano vivere la loro vita all’interno di un piccolo cosmo che in maniera quasi impercettibile,come un vero e proprio Grande Fratello,vaglia e analizza le loro esistenze.Un film bellissimo,realizzato con grande cura,dove nulla è lasciato al caso anzi il tutto rientra in un disegno ineluttabile al quale risulta impossibile fuggire.Capolavoro. (20/6/2019) ****

Un gran bel film questo secondo lungometraggio girato nel 2017 dall’accoppiata registica Fabio Grassadonia e Antonio Piazza dopo il loro esordio “Salvo” del 2013.Come la loro precedente opera siamo ancora in Sicilia e si parla ancora di mafia,per affrontare il rapimento e l’uccisione del piccolo Giuseppe di Matteo,sequestrato per cercare di non far parlare il padre,già pentito e collaboratore di giustizia.Come è andata lo abbiamo saputo successivamente,il padre dopo un primo momento di incertezza non si è piegato ai rapitori e non essendo Giuseppe mai stato ritrovato solo grazie alle testimonianze di chi ha confessato dopo alcuni anni si è saputo la sua tragica fine,tenuto segregato per più di due anni,ucciso e poi sciolto nell’acido.Il film è bellissimo e riesce grazie alla vicenda,vissuta con gli occhi della sua fidanzatina che non riesce ad accettare la sua scomparsa,a trasformare la dura realtà della cronaca in una fiaba nera,una sorta di ghost story che grazie alla bravura dei registi mescola molti generi,dal thriller al fantasy,con momenti di pura poesia sorretti da una fotografia a dir poco affascinante.Un film da non perdere assolutamente.  (17/5/2019) ****

Un bellissimo film questo “Chiudi gli Occhi” del 2016 diretto dal regista Marc Foster già visto all’opera nel 2008 in “Quantum of Solace” della serie 007.La storia di Gina,una bellissima Blake Lively,rimasta ipovedente in seguito a uno spaventoso incidente stradale che è costato inoltre la morte di entrambi i suoi genitori,nella sua condizione di completa dipendenza dal marito,riesce a riacquistare la vista da un occhio grazie a un miracoloso trapianto di cornea e tutto improvvisamente cambia.Il riappropriarsi della sua bellezza e della sua sensualità di donna gettano il marito in una profonda frustrazione e in un grande sconforto nella percezione che il suo ruolo principale sia venuto meno.Senza andare oltre nel racconto pieno di colpi di scena e senza anticipare il finale,quello che colpisce resta l’evoluzione della storia dove prevale la cattiveria e l’egoismo del marito nel suo rifiuto di accettare la nuova situazione e gli eventi successivi che ne deriveranno.Con il bravo Jason Clarke nella parte del marito,”Chiudi gli occhi” resta un film assolutamente da vedere e da rivalutare soprattutto per riflettere fino in fondo sul concetto di meschinità e vigliaccheria che spesso pervade la natura umana. (26/4/2019) ****

Più che affascinante questo film del 2016 diretto dalla regista francese Nicole Garcia,nato da un adattamento del romanzo scritto nel 2006 dalla scrittrice italiana Milena Agus.Interpretato dalla bravissima Marion Cotillard e coadiuvata dai convincenti Louis Garrel ricordiamo giovanissimo nel cast di “The Dreamers” di Bertolucci e Alex Brendemuhl,racconta la storia di una donna nata ribelle di nome Gabrielle costretta dalla famiglia a sposare un uomo che non ama con l’obiettivo di diventare finalmente rispettabile agli occhi del paese,smettendo di far parlare di se con comportamenti poco consoni a una giovane ragazza di una rispettabile famiglia.Sarà il suo ricovero presso una clinica specializzata nella cura dei calcoli,da qui il titolo del film,con il conseguente incontro con un reduce di guerra,il tenente Andrè,a far rinascere in lei la passione e la voglia di un amore desiderato,voluto e soprattutto assoluto anche se tutto purtroppo non sarà esattamente quello che sembra.Film bellissimo,dotato anche di una intensa colonna sonora,da vedere e perché no anche rivedere,come ho fatto io,per apprezzarne fino in fondo le sue innumerevoli sfumature. (19/1/2019) ****

Un film da vedere questo lungometraggio diretto nel 2016 dal regista statunitense Tate Taylor,qui alla sua prima importante esperienza,basato su un romanzo della scrittrice britannica Paula Hawkins.Un buon giallo dai canoni classici,con una discreta dose di erotismo grazie anche alle belle interpreti e con un giusto e apprezzato finale anche se le alternative a quel punto non erano poi moltissime.Grazie a un’Emily Blunt in ottima forma e nella storia alcolizzata quanto basta dopo una delusione d’amore,il film scorre molto bene,con i suoi momenti di tensione derivanti dalle vere o false realtà che l’interprete principale percepisce a causa del suo debole stato psicologico,nella sua personale indagine volta a risolvere un’omicidio.Consigliata una visione,si sono visti prodotti del genere ben peggiori. (12/12/2018) ***

Un film molto bello diretto nel 2014 dal sempreverde Clint Eastwood basato sulla storia di quattro ragazzi italoamericani del New Jersey che guidati da una voce fuori dalla norma,quella di Frankie Valli,raggiunsero un enorme popolarità sul finire degli anni 50 inizi 60 con il nome “Four Seasons”.Gli ingredienti per una buona storia ci sono tutti,l’entusiasmo iniziale e i primi successi,poi i problemi che iniziano con i primi guadagni,la testa matta di alcuni di loro che penalizzerà in parte la loro carriera,le vicende personali e familiari di chi ha scelto di farsi una famiglia poi difficile da mantenere essendo quasi sempre in tour per tutta l’America.Molto bravi i giovani protagonisti,attori non conosciuti dal grande pubblico,mentre tra gli altri più navigati spicca un impeccabile Cristopher Walken,il tutto coadiuvato da una regia che non esce mai dal seminato e riesce sempre a catturare l’attenzione.Una bella pagina della musica americana che continua ancora oggi con il musical,a cui il film rende omaggio,che andrebbe riscoperta anche da noi essendo poco conosciuta,insomma un’ottima occasione per ripercorrere quella storia gustandosi il film. (3/11/2018) ****

Un incidente nella notte,un ciclista investito e non soccorso,diventa lo spunto per scavare all’interno di due famiglie molto diverse tra loro ma legate dal rapporto sentimentale dei propri figli.Ottimo e davvero bellissimo questo noir diretto nel 2014 da Paolo Virzì tratto da un famoso romanzo americano.Tre capitoli,ognuno dedicato a un personaggio chiave del film oltre a quello finale che riunisce e chiude il cerchio.Tra gli interpreti bella e brava la Valeria Bruni-Tedeschi,sempre impeccabile ma qui un po’ sopra le righe Fabrizio Bentivoglio ma la vera rivelazione è Matilde Gioli,giovanissima attrice agli esordi,sicuramente destinata a una promettente futura carriera. (18/10/2018) ****

Apprezzato come regista fin dai tempi di “Confessioni di una Mente Pericolosa”,George Clooney raggiunge il suo l’apice con questo lungometraggio del 2011,asciutto,crudo,sprezzante nel descrivere il sottobosco dei compromessi durante le campagne elettorali americane,sempre molto critico verso la sua nazione  e davvero qui coglie nel segno. (15/9/2018) ***

Nonostante sia un remake del lungometraggio diretto nel 2009 da Juan Josè Campanella e “Oscar Miglior Film Straniero” nel 2010 resta comunque una bellissima versione questa datata 2015 del regista Billy Ray.Tratto da un romanzo che porta lo stesso titolo,”Il Segreto dei suoi Occhi” annovera un cast eccezionale,basti pensare a Nicole Kidman nella parte di un’ambizioso avvocato destinato alla carriera giuridica oltre a una Julia Roberts davvero efficace nel ruolo di una madre in polizia a cui hanno violentato e ucciso la figlia.Tra loro si inserisce il personaggio principale Chiwetel Ejiofor già “Amistad” e “12 Anni Schiavo”,un ex-poliziotto che non riesce a dimenticare quell’orribile fatto di sangue di cui lui si sente un po’ responsabile,rimasto da allora senza colpevole.Il film si muove tra il desiderio di vendetta che non ha certamente scadenza e il punto limite fino a dove possiamo spingerci per ottenere la piena giustizia,sempre e comunque con il suo relativo prezzo da pagare.Il finale da brivido,davvero inaspettato,vale da solo la visione del film. (10/7/2018) ****

Sempre bellissimo questo affascinante film di Woody Allen diretto nel 2005.Seguire l’istinto o la ragione rimane uno dei veri dilemmi della nostra vita,sperando poi in ultima analisi che quando il rischio si fa alto la pallina,il titolo omaggia il riferimento tennistico,rimbalzi sul nastro e vada dall’altra parte,consentendo così in maniera fortunosa di ottenere il punto vincente.Semi capolavoro con una Scarlett Johansson mai così bella e intrigante. (22/4/2018) ****

Un vero e proprio gioiello questo film di Paul Thomas Anderson diretto nel 1997,con uno sguardo severo e critico rivolto al mondo del cinema a luci rosse tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta,quando le prime cassette VHS e le sue relative registrazioni artigianali avrebbero rivoluzionato il settore.Cast straordinario e oltre a Mark Whalberg,nella parte di un possibile John Holmes che fu all’epoca star del genere,spicca un grandissimo Burt Reynolds nella parte del regista e giustamente super premiato per l’occasione. (5/3/2018) ****